Decreto 10 marzo 1998

Se si pensasse di elencare analiticamente le novità introdotte dal decreto 10 marzo 1998 non si renderebbe giustizia ad un atto che è reputato come uno dei più leggibili tra le disposizioni tecniche di prevenzione incendi. Ne forniamo, quindi, solo una breve elencazione:

  • criteri per svolgere la valutazione dei rischi;
  • indicazione delle misure preventive, protettive e precauzionali di esercizio;
  • indicazione delle modalità di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio;
  • indicazione sulla gestione dell’emergenza in casi di incendio;
  • indicazione delle modalità di designazione degli addetti al servizio antincendio;
  • indicazione sulla formazione degli addetti alla prevenzione incendi, lotta antincendio, e gestione del piano di emergenza.


Piuttosto che analizzare nel dettaglio i singoli punti, riteniamo importante sottolineare l’aspetto relativo alla novità dell’approccio alla valutazione dei rischi: per la prima volta una disposizione di prevenzione incendi ha seguito la strada, più ardua ma più lungimirante, della spiegazione di criteri da seguire piuttosto che della imposizione di misure dall’alto, anticipando il principio che giace alla base dell'utilizzazione delle tecniche di analisi ingegneristica della sicurezza antincendio, introdotte anch'esse da una direttiva comunitaria. Per chiarire il contenuto di questa affermazione, si può aggiungere che il decreto fa parte del filone delle normative del tipo non prescrittivo, nelle quali, cioè, la scelta delle singole misure da attuare non è competenza del normatore, ma è lasciata al professionista della sicurezza: all'Autorità pubblica, in tale caso spetta la definizione degli obiettivi da raggiungere e dei livelli minimi richiesti.

Confrontando il contenuto delle norme precedenti con questo ultimo regolamento, si capisce come questa scelta possa essere considerata rivoluzionaria: infatti non si possono rintracciare disposizioni precedenti diverse da quelle di tipo prescrittivo, alle quali quindi tutti eravamo abituati. È bene ricordare che norme di questo tipo erano già state introdotte negli anni recenti in altri settori, come ad esempio quello dell'abbattimento delle barriere architettoniche, ma anche nel settore della sicurezza dei lavoratori. Ed infatti, si può sostenere che tale scelta è stato un atto dovuto, in ossequio alle scelte compiute in sede legislativa italiana ed approvate con diversi atti, di cui il più importante è il D.Lgs 626 del 1994. D’altra parte, proprio in attuazione dell’art. 13 di questo decreto legislativo il D.M. 10 marzo è stato emanato e non si può trascurare lo sforzo di adeguamento compiuto in tale senso dall’Amministrazione. Non si può dimenticare, inoltre, che in questa direzione l’Italia si avvicina a quanto desidera su questo campo l’Unione europea. A monte degli atti appena citati, con il parco di direttive di base (la 89/391/CEE ed altre) il Parlamento Europeo ha introdotto il concetto di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro. In Italia, come in Europa, è stato quindi accettato istituzionalmente un concetto di fondo: lo Stato non può sostituirsi al datore di lavoro nella valutazione dei rischi specifici. La varietà e la continua evoluzione del settore, infatti, vedrebbero costretti gli organi pubblici alla emanazione di normative in perenne inseguimento delle innovazioni tecniche. Tali normative arriverebbero sempre in ritardo e, peraltro, si correrebbe il rischio di imporre misure di sicurezza non del tutto compatibili con le esigenze gestionali. La scelta europea è invece chiara: sta al datore di lavoro l’onere di garantire il livello di sicurezza minimo dei lavoratori e di darne la più ampia illustrazione a chi controlla. Questa scelta, quindi, implica che:

  • allo Stato compete il compito di fissare il livello di sicurezza:
  • allo Stato compete l’individuazione delle misure minime di sicurezza comuni a tutte le attività lavorative;
  • allo Stato compete l’individuazione dei criteri di valutazione dei rischi;
  • aumenta l’entità delle attribuzioni statali in materia di controllo, preventivo ed a campione;
  • non sono mutati gli obblighi dei datori di lavoro in relazione alle misure prescritte dai diversi atti tuttora vigenti (DPR 547/55, DPR 689/59, decreti ministeriali ecc.);
  • aumentano la libertà e la responsabilità dei datori di lavoro in materia di scelta delle misure con cui migliorare il livello di sicurezza.


Individuata (non senza difficoltà) la nuova impostazione, la composizione estremamente vasta dei destinatari ha imposto un testo caratterizzato da un’estrema leggibilità, nel quale però i criteri di base per valutare i rischi e determinare le misure necessarie sono stati espressi con il dovuto rigore.

Non è forse ancora giunto il momento per fare dei bilanci, e tra l'altro il fatto che le attività soggette all’applicazione diretta del decreto non sono soggette ai controlli sistematici di prevenzione incendi, rende meno facile individuarne i problemi applicativi.